Teatro Abierto 1981


1. Contesto storico e culturale

A cavallo tra 1970 e 1980, la situazione generale in Argentina era di malessere diffuso: povertà, paura, omertà e individualismo si riflettevano in una visibile diminuzione dell’attività teatrale. Le poche opere in cartellone utilizzavano uno stile tetro, riferito a una crudeltà non basata sulla realtà, definita da Dragún vampiresca y caníbal, che esprimeva la disperazione generalizzata. Questa situazione produsse una forte contrazione di pubblico e la fine di molti gruppi teatrali. Il declino del teatro era stato accelerato dalle pressioni del regime militare che tolse ogni libertà di espressione con la potente arma dellae censura. Erano prese di mira soprattutto le opere che rappresentavano non in maniera tradizionale, secondo i canoni del regime, istituzioni considerate fondamentali. Si consideravano inoltre i nuovi modi di rappresentare violenza, droga, adulterio, ed i nuovi costumi in generale, libertini e lesivi della morale comune.

2. La censura

Una delle prime opere messa al bando fu Telarañas, di Eduardo Pavlovsky (1977), per il linguaggio troppo audace e la messa in scena  violenta. Nel 1978 fu bandito Juegos a la hora de la siesta di Roma Mahieu a causa delle situazioni al limite portate in scena e, soprattutto, di una sua celebre frase: “atentar por ser contra el nacional”. Così molte altre: qualsiasi movimento risultava sospetto e la cultura si trovava totalmente sommersa, isolata, violentata. Si arrivava a ritenere che “il silenzio fosse salute”: la censura (e l’autocensura preventiva) era la maniera più prudente per sopravvivere. Non c’erano rimedi: o si sceglieva un silenzio complice o si scriveva utilizzando uno pseudonimo oppure si sceglieva l’esilio.

Riguardo a questa drammatica situazione Dragún sosteneva: “La situazione del teatro è molto critica. C’è molta censura, molta autocensura, gente al bando, gente che non può lavorare.”

3. La nascita di Teatro Abierto

Ovviamente esisteva chi voleva continuare a combattere in maniera aperta e attiva. Di fronte alla degenerazione dell’arte, alcuni registi si erano riuniti a Buenos Aires nel novembre del 1980 per dare una risposta alla domanda chiave per il futuro del teatro: come dimostrare l’esistenza (e quasi la rinascita) del teatro nelle attuali condizioni sociali?
Questa è l’essenza di Teatro Abierto: un movimento di opposizione, denuncia e resistenza dato dalla cultura che permetteva di protestare, attraverso la forma artistica, contro la repressione e l’autoritarismo di quella società chiusa. L’intento era di costruire una comunità teatrale, capace e disponibile a creare un teatro “aperto”, un teatro abierto en un país cerrado; un teatro che trovasse coraggio e mezzi per aggirare la censura ed esprimere ciò non poteva essere detto. L’idea era dunque di muoversi per movilizar un ambiente que està inmovilizado.

Le esperienze si unirono nel 1981 in una miscela unica di generi: era la nascita di Teatro Abierto, un vero e proprio “fenomeno socioteatrale” (Graham Jones) e la migliore contestazione di libertà esercitata fino a quel momento. Coloro che iniziarono a lavorare a Teatro Abierto erano per la maggior parte legati al Teatro Independiente degli anni ’60, epoca in cui il teatro aveva lo scopo di dettare la propria politica culturale, anche a costo di andare contro la politica culturale ufficiale. Inoltre si intendeva il teatro come un compromesso, andando contro l’autonomia dell’arte in relazione alla realtà sociale e politica: il teatro era una forma educativa, un genere didattico indirizzato a promuovere il progresso dell’uomo.

4. Obiettivi

Il primo obiettivo del Teatro Abierto era dimostrare l’esistenza di un teatro argentino vivo e di qualità: vamos a demostrar que existimos. Questo obiettivo mutò ben presto in denuncia dell’attualità, ma anche in lotta per la libertà democratica e per la ricerca di un’identità e una coscienza nazionale. I precursori di questo nuovo ciclo teatrale furono Osvaldo Dragún, Roberto Cossa, Carlos Gorostiza, Ricardo Halac, Ricardo Monti, Carlos Somigliana e Pacho O’Donnell, importantissimi nomi iscritti nelle liste nere della censura ufficiale, che iniziarono a collaborare per opporsi alla censura in un contesto sociale di persone scomparse, torture, assassini, censura, oppressione generalizzata.

Le opere volevano rappresentare la realtà concreta dell’Argentina, osservata da un punto di vista neutrale, non schierato. Si scelse di mostrare e denunciare la cruda realtà tramite metafore e simbologie per non incorrere nella censura. Teatro Abierto affermava inoltre il teatro come manifestazione artistica collettiva, che coinvolgeva tutti coloro che lo producevano e che avevano il fine comune di riscattare l’identità che il teatro argentino aveva perso negli ultimi anni. Si voleva riaffermare un teatro autenticamente nazionale, con una voce e un linguaggio propri, una tematica adeguata al contesto e la necessità imperante di connettere chi sta sul palco con il pubblico senza per questo perdere valore estetico e universale.

5. Opere e rappresentazioni

Si chiese a un gruppo di autori teatrali di scrivere delle opere brevi, di un solo atto, che parlassero dei problemi attuali del paese. Non ci fu una vera e propria selezione: furono indicate delle linee guida e gli autori erano liberi di scegliere se collaborare o meno. Ognuno poteva scegliere il tema e ambientazione, senza limiti drammaturgici, ideologici o estetici. Si doveva scrivere un’opera inedita e la coppia attore-regista sarebbe stata sorteggiata: si voleva far trasparire che tutti erano dueños del Teatro Abierto, con uguali diritti e uguali responsabilità.

Per le rappresentazioni si scelse il Teatro Picadero, precedentemente utilizzato per mettere in scena opere del Teatro Independiente; questa sala era considerata adeguata, perchè “nuestra, de aquellas que fueron pensadas para resistir, no para comerciar”. Le spese di scenografia e i costi di produzione furono assorbiti grazie alla vendita anticipata dei biglietti, esauriti addirittura  una settimana prima dell’inizio del ciclo. Anche questa aggregazione era simbolo di un cambiamento, di una resistenza tenace.

6. La prima

Un totale di ventuno autori scrisse per il primo ciclo del Teatro Abierto, inaugurato ufficialmente il 28 luglio 1981 al Teatro Picadero. In questa occasione, l’attore Jorge Rivera López, presidente della Asociación Argentina de Actores, lesse il loro manifesto, la Dichiarazione dei Principi del Teatro Abierto, scritta dal drammaturgo Carlos Somigliana e sottoscritta da tutti i collaboratori:
Porque queremos demostrar la existencia y vitalidad del teatro argentino tantas veces negada;
porque siendo el teatro un fenómeno cultural eminentemente social y comunitario, intentamos mediante la alta calidad de los espectáculos y el bajo precio de las localidades, recuperar a un público masivo;
porque sentimos que todos juntos somos más que la suma de cada uno de nosotros;
porque pretendemos ejercitar en forma adulta y responsable nuestro derecho a la libertad de opinión;
porque necesitamos encontrar nuevas formas de expresión que nos liberen de esquemas chatamente mercantilistas;porque anhelamos que nuestra fraternal solidaridad sea más importante que nuestras individualidades competitivas;
porque amamos dolorosamente a nuestro país y éste es el único homenaje quesabemos hacerle;porque, por encima de todas las razones nos sentimos felices de estar juntos.”

(Declaración de Principios de Teatro Abierto, 1981)

7. Il pubblico e la stampa

Iniziava cosi un percorso di riaffermazione dell’esistenza del teatro argentino, del diritto a pensare senza vincoli e del proposito di mantenersi uniti nonostante le diversità. Ogni giorno, per due mesi, si misero in scena tre opere. La reazione del pubblico fu impressionante ed inaspettata, nonostante la stampa ne parlasse a malapena (concentrata com’era sull’incontro tra la Giunta Militare e Frank Sinatra la cui fama serviva anche a coprire eventuali testate che avessero dato spazio a Teatro Abierto): La Nación fu uno dei pochi a pubblicare una nota che descriva la sala colma di pubblico e il clima di festa che generò la prima del ciclo.
Teatro Abierto divenne il collante di un’unità sociale indipendente: si avvicinarono al movimento anche molti altri interpreti del teatro argentino, di generazioni diverse e di molte tendenze teatrali e politiche, con in comune il rifiuto totale del regime militare al governo.
Si può facilmente intuire come i registi, gli attori e tutti coloro che cooperarono alla realizzazione del ciclo si scontrassero con il sistema socio-politico dell’epoca: il terrore generato dal Proceso de Reorganización Nacional, voluto dalla giunta al potere, si era sparso a macchia d’olio: chi era al potere si scagliava ferocemente contro l’ambito intellettuale e artistico. Autori, registi e attori furono tenuti d’occhio, vigilati e perseguiti per aver espresso idee contrarie al regime.

8. La reazione del regime

Il regime non stette a guardare: creò le cosiddette listas negras con i nomi di attori, registi e collaboratori del Teatro Abierto. Molti di loro furono ufficialmente banditi; chi veniva citato (o anche sospettato) doveva smettere immediatamente di lavorarvi, emigrare o lavorare sotto falso nome. Furono addirittura organizzati dei falò per bruciare le opere considerate più pericolose.
Molti di coloro che lavoravano nel teatro – visti come capi controrivoluzionari, che lottavano attraverso la cultura – erano già stati ampiamente minacciati. Durante i primi anni del Processo, negli anni della democrazia, furono resi ufficiali le misure repressive contro le pratiche culturali: di 8.960 desaparecidos ufficialmente documentati nella CONADEP, si ritiene che l’1,3% fosse composto attori e artisti.

Dato che le cosiddette liste nere, le minacce, la censura, non fermarono il progetto – ma anzi gli diedero una scossa, anche grazie al pubblico sempre più numeroso – il Regime rispose a suo modo collocando, il 6 agosto 1981, a una settimana dalla prima, tre bombe nel Teatro Picadero che prese fuoco in pochi istanti. Esattamente come il pubblico, anche i militari avevano avvertito di essere in presenza di un fenomeno più politico che teatrale.

9. La resistenza e il supporto di pubblico e stampa

Neppure questo però riuscì a intimidire gli artisti. Con l’appoggio del Premio Nobel per la Pace, Adolfo Esquivel e degli scrittori Ernesto Sábato e Jorge Luís Borges, si organizzò una conferenza stampa di fronte al teatro distrutto: Dragún lesse un messaggio in cui dichiarava l’enorme portata del fenomeno Teatro Abierto – che da piccolo movimento era diventato movimento nazionale – e in cui ringraziava il pubblico e i collaboratori per la loro attenzione, il loro supporto e la loro vitalità. Il Teatro Abierto era passato da pretesto estetico ad affermazione etica di cui andare orgogliosi. Scelsero dunque, con un affronto inaudito al sistema, di andare avanti come previsto: semplicemente si cambiò teatro. La scelta, tra i quasi venti teatri che si offrirono per assicurare la continuità del ciclo, ricadde sul Tabarís, teatro di cabaret con 600 posti. Il ciclo continuò con il teatro sempre pieno e un entusiasmo di pubblico che superava il mero fenomeno teatrale per convertire ogni messa in scena in una mobilitazione anti regime per la libertà.

La stampa rispose finalmente con una completa adesione al ciclo teatrale – ormai vero e proprio movimento culturale – senza stranamente farsi corrompere dalla censura. Il Clarín scrisse un editoriale intitolato “Los fueros de la cultura” parlando di comprensible preoccupazione e di condivisione di un sentimento di inquietudine per una repressione così violenta e così palese: si chiedvano spiegazioni e giustificazioni alle autorità, nonostante si continuasse a ritenere il regime responsabile dell’incendio. Anche Humor, una delle riviste a tiratura maggiore in Argentina, pubblicò un articolo piuttosto forte: in Argentina non c’era spazio per il tempo verbale del futuro, perché non si era certi di avere un futuro a disposizione; il modo verbale da usare era il condizionale.

10. La fortuna e il declino

Durante tutto il ciclo si contarono 25000 spettatori: la resistenza non era un concetto poi così astratto. La critica arrivò a definire Teatro Abierto 1981 come “el movimiento teatral argentino más importante de todos los tiempos”. Era la chiara dimostrazione che si potevano sfidare i militari con l’arma della parola.
Il movimento, nato come reazione all’indifferenza e al disprezzo con cui chi dirigeva i teatri ufficiali e le università vedeva queste opere, fu integrato da artisti che manifestarono il rifiuto per il bavaglio sociale. La ripercussione che ebbe il movimento divenne estensiva e si espanse anche ad altri ambiti culturali: vennero create altre comunità artistiche come Danza Abierta, Música Siempre, Libro Abierto, Poesía Abierta, Tango Abierto o Folklore Abierto.
Teatro Abierto 1981 fu solo la prima di tre edizioni (1981, 1982, 1983). Furono fatti molti sforzi per rinnovarsi e trovare nuove forme espressive, sforzi di trascendenza in cui si possono ritrovare anche i semi della morte del Teatro Abierto. Nel 1984, primo anno di democrazia, si discusse molto su come preservare la continuità del movimento, ora che il pretesto che aveva dato origine al ciclo, la dittatura militare, era caduto. Nonostante i numerosi sforzi di reinventarsi annualmente sia tematicamente che formalmente, il movimento non fu capace, né forse ha mai voluto, di adattarsi alla nuova realtà democratica.

testi estratti dalla tesi di laurea specialistica di Francesca Lia



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